Testo

Leonardo Sole


Regia e Scene

Giampietro Orrù


Musiche

Sonus e Sinnus
 

 

Spettacolo

Con "Nur" "Fueddu e Gestu" continua il suo percorso di ricerca nei territori dell'identità, "per un teatro dei sardi" come Michelangelo Pira lo amava definire. "Nur" corrisponde alla nostra necessità di continuare la ricerca e lo scavo nella foresta dei segni più profondi della nostra cultura. Di dialogare creativamente con la tradizione affrontando problematiche e temi che sono dell'uomo di ieri e di oggi, utilizzando la nostra lingua, sia essa nella variante logudorese o campidanese. Per questo siamo profondamente grati a Leonardo Sole per averci proposto il suo testo per la realizzazione scenica. Un testo articolato e ricco di stimoli per una ulteriore riflessione sulle problematiche dell'identità. Leggibile come una fiaba popolare, questo testo "filosofico" di Leonardo Sole è allo stesso tempo ironico, giocoso, divertente, ricco di scarti ritmici e suggestioni; tutte cose che provengono da una profonda conoscenza e dimestichezza dell'autore con i codici della tradizione culturale sarda e quelli del teatro moderno e contemporaneo.

Giampietro Orrù

 

Un popolo che non ha miti da raccontare è un popolo che è privo di identità. Raccontare un mito significa riportare a unità i frammenti dispersi della nostra storia, e dunque quel senso di spaesamento e di distacco, che in altri può anche essere sensazione o emozione momentanea, e in noi sardi costituisce invece il tratto culturale fondante e il segno tangibile di un plurisecolare conflitto tra diverse lingue e culture. In Sardegna il conflitto tra i due universi che ci portiamo dentro si proietta nel tempo, producendo una seconda divaricazione tra il presente e il passato storico e mitico. Ogni tentativo di discesa nelle ragioni profonde della nostra identità si trasforma così in una ricerca e ricostruzione dei miti stessi, che si offrono a noi come frammenti dispersi di un grande naufragio. I personaggi di "Nur" vivono questa doppia contraddizione tra il qui e il là, tra la freccia irreversibile del tempo, per cui ciò che è stato non verrà mai più, e il modello tradizionale del tempo ciclico, in virtù del quale ciò che è stato ritorna. Da un lato il mondo mitico delle "janas", dall'altro quello storico dell'uomo di oggi. Il pastore Ur si affaccia incautamente, come solo gli eroi e gli innamorati osano, a quell'altro universo, per definizione invalicabile. Lo stesso fa, ma in direzione opposta, Nur. Intermediario tra i due mondi è Su 'Ezzu, dalla doppia natura umana e ferina, che aiuta i due nell'impresa, anche per amore di Jaga (il cui nome richiama la porta di passaggio - si pensi a "sa jaga", il cancelletto di legno delle "tancas" - che unisce e separa i due mondi). Così l'amore di Ur e Nur si incornicia, come sua replica, in quello mitico di Su 'Ezzu e Jaga, che prima di loro avevano tentato, sconfitti, il gran salto. Ma ancora una volta lo strappo compiuto (una sorta di hybris moderna) viene sanato con la punizione dell'eroe, per sempre relegato in quel mondo antelucano irriducibile alla luce del presente e della storia. Il dramma di Ur che aspira attraverso l'amore al ricongiungimento con l'altro da sé, sua metà e suo doppio, rivive la sua vicenda di illusioni e sconfitte nella quotidiana ricerca dell'identità perduta. Poiché il mondo liminale delle "janas" ha qualche affinità con l'infanzia e con la morte, il loro linguaggio è allo stesso tempo infantile e giocoso, ma crudele. E poiché il dramma rappresenta questa nostra costante aspirazione a un'altra realtà perduta o sognata, il linguaggio assume particolari modulazioni emotive e si apre a soluzioni liriche, con una cura particolare dei timbri, dei ritmi, delle intonazioni. Il sardo qui usato (nella varietà logudorese) attinge forza dai grandi sistemi metaforici culturali e linguistici dei testi di tradizione orale.

Leonardo Sole

 

Nella scena, la storia di "Nur" inizia e si conclude nello spazio metaforico-simbolico dell'ovile-mondo di Ur; l'isola-labirinto dove è impossibile separare il mondo reale da quello del sogno. La disperata ricerca del giovane pastore Ur della "jana" Nur, si dipana intorno ad elementi ed oggetti scenici che hanno subito un passaggio dalla loro funzione quotidiana a quella di segni del mito. Il filo di lana ed i fusi, le forbici e le brocche, il telaio ed il sughero, sono tutti elementi che in vario modo hanno un ruolo sia nel quotidiano che nel rito, ove poi il rito non sia già insito nel quotidiano. Così come accade nella gestualità che accompagna l'uso di questi oggetti. Su questo tipo di modalità, giocato tra il rituale e il quotidiano si intesse la realizzazione dell'opera, l'interpretazione vocale e fisica, ritmico-musicale e scenografica. Un tratto questo, che pensiamo renda al meglio le atmosfere e le situazioni liminari, tra il sogno e la veglia, in cui si muovono i personaggi di "Nur". Nello spettacolo i valori della parola, del suono, del gesto e del gioco insieme, sono inscindibili. Le musiche originali ed i canti si intersecano con le azioni ricorrendo a strumenti sia popolari che colti, in una dimensione di dialogo e reinterpretazione della tradizione. Ancora, in questo lavoro, non ci siamo lasciati sfuggire l'opportunità di sperimentare sulla scena le geometrie e le forme che assume il fare artigiano o il lavoro contadino e pastorale. Caratteri che hanno radici nella terra in cui viviamo e proprio per questo ci possono dare l'opportunità di raccontarci al mondo.

Giampietro Orrù

 

Interpreti e personaggi

NUR - Maura Grussu
UR - Stefano Farris
SU 'EZZU - Gianni Melis
JAGA - Stefania Serpi
JANA - Heleanna Grussu

 

Musiche

Composte ed eseguite da
Sonus e Sinnus:
Veronica Maccioni
Ottavio Farci

 

Tecnico audio-luci

Gianni Erbì

 

 

Cooperativa Teatro Fueddu e Gestu
www.fuedduegestu.it